Natalina Ceraso Levati,

intervista con il (la) Presidente della Divisione Calcio Femminile della FIGC

di Mario Rimati

Roma, Aprile 1998.

N.Ceraso LevatiE' da quasi 28 anni nel mondo del calcio femminile. Nel 1997 divento' presidente della DCF.  Come e' nato questo amore per il calcio femminile?

Lei ha parlato d'amore?  E' stata una scelta d'amore.  Sono figlia d'arte perché i miei genitori sono insegnanti di educazione fisica, quindi ho passato la mia giovinezza nel mondo dello sport. Erano anche giudici FIDAL, niente a che fare con il calcio, ma sempre sport. Io passavo i miei sabati nelle arene. Mio padre aveva una polisportiva, sempre femminile, e io sono cresciuta facendo la segretaria di questa polisportiva. Quando mi sono laureata e' arrivato un giovane avvocato un giorno in palestra a proporre a mio padre di fare la squadra di calcio femminile.  Dopo 10 mesi eravamo già sposati e quell'avvocato era il fondatore del Fiammamonza.

Che situazione ha trovato quando e' entrata alla DCF?

Noi siamo entrati nella Lega Dilettanti nel 1986 e perfino alla mia elezione i presidenti erano sempre stati nominati, non c'era una struttura. C'era il presidente che incaricava un commissario straordinario che non aveva ne' un consiglio ne' nulla. Io sono il primo presidente eletto quindi ho dovuto prendere conoscenza del personale. C'era un segretario che faceva un po' di tutto. Collaboratori non ce n'erano quindi ho cercato di dare una struttura alla divisione.
Ho scelto la segretaria Patrizia Recandio e abbiamo cominciato insieme. Abbiamo dovuto imparare e sostenerci a vicenda. La mia esperienza e' una esperienza da società e da conoscitrice di calcio femminile, ma non da divisione o lega. Ci siamo integrati a meraviglia e quindi abbiamo ottenuto altri collaboratori. Abbiamo una persona che cura i campionati e la Coppa Italia che prima non avevamo. Abbiamo qualcuno che e' addetto alla segreteria e un addetto alle squadre nazionali. C'e' una collaboratrice che viene due volte alla settimana per curare la stampa dei comunicati. Il problema più importante per me in questo momento e' di rendere visibile verso l'esterno questo movimento.  Vorrei dire che la situazione nella divisione doveva essere completamente rivista in una chiave diversa. A me piace la politica dei piccoli passi, pero' fatta di cose concrete. Voglio creare qualche cosa, una struttura, su cui pian pianino andare avanti.
Chi verra' dopo di me probabilmente non dovra' cambiare tutto. Io mi auguro che trovi una situazione migliore, soprattutto dal punto di vista di immagine verso l'esterno, di quella che ho trovato io. Semplicemente non esisteva nulla. Io ho cambiato la mentalità della DCF e di questo me ne faccio vanto. La divisione ha come punto di riferimento le società. Le stesse giocatrici che vanno in nazionale non sono giocatrici della federazione ma delle squadre. Per me e' dominante il rapporto con le società. Tanto e' vero che se uno guarda come e' impostato il comunicato nota che e' cambiato moltissimo. Si danno per esempio notizie delle convocate in nazionale e dei risultati mentre prima la nazionale era top secret per pochi intimi. Pochissimi sapevano cosa faceva, pochissimi sapevano dove andava. La mia filosofia ha al centro il rapporto con le società, il cercare di rendere più facile, più vivibile la vita delle società, il cercare di ammortizzare meglio i costi.
Per l'anno venturo ho ottenuto per la Serie B quattro gironi a dodici squadre invece di tre gironi a sedici squadre per diminuire le spese e le trasferte. Il problema e' sempre il sud. Voglio coinvolgere società maschili che hanno già una struttura alle spalle ad aprire un settore femminile come molte nazioni europee stanno facendo. Questa e la mia guerra, la mia battaglia. Ho trovato una situazione un po' "ibrida" nei rapporti con i comitati perché la divisione gestisce solo le squadre di A e di B mentre per l'attività a livello regionale ci sono i diversi comitati e li' purtroppo la divisione non puo' intervenire. Sono dei comitati i cui presidenti sono sensibili e comprendono che c'e' un futuro nal calcio femminile anche perché con il calo demografico se le società maschili non aprono al femminile le squadre diminuiscono. Ci sono alcuni presidenti che lo capiscono e alcuni invece sono un po' non femministi e quindi c'e' una certa difficoltà in questo atteggiamento.
Adesso la linea da perseguire e' quella di cambiare la mentalità all'interno dei comitati e cambiare il rapporto tra la divisione ed i comitati perché altrimenti non si può andare avanti e non si può collaborare.  Poi per aumentare il numero delle tesserate non e'facile creare nuove società femminili perché non ci sono le strutture, non ci sono i soldi, non c'e' nulla, ed invece si deve coinvolgere di piu' le società maschili.

Ci parli del ruolo della FIFA e dell'UEFA nel calcio femminile. E' soddisfatta dell'appoggio che riceve da Blatter e Johansson?

A livello personale non ho avuto ancora modo di rendermi conto chi sono, pero' dalle dichiarazioni sui giornali, ci sono delle cose positive. Adesso tutto sta a vedere se a delle richieste oggettive e concrete quale sarà la riposta. A livello UEFA e FIFA si sono accorti che il movimento femminile non e' una meteora. E' qualche cosa di concreto, quindi devono prenderne atto tutti. Penso che la Federcalcio ritorni sulla falsariga di accettare questa realtà perché penso proprio che sia una questione di mentalità. La realtà femminile non si può ignorare. E' un'evoluzione della cultura.

L'America, la Cina, la Germania e la Norvegia sono attualmente le più forti al mondo. C'e' qualche cosa che Lei invidia del loro programma e magari vorrebbe avere in Italia?

Si', soprattutto la volontà. La volontà a livello gestionale di creare qualcosa perché questi un bel giorno si sono svegliati, qualcuno ha detto "Dobbiamo fare in modo che le ragazze che giocano a pallone abbiano possibilità di farlo veramente, abbiano la possibilità di essere padrone di farlo". Hanno dato loro la possibilità di farlo. Io invidio questo, invidio i mezzi che sono stati messi a disposizione di chi vuole fare calcio femminile in queste nazioni.

Parliamo dei suoi rapporti con Nizzola e Giulivi.  Le danno una mano per fare decollare il calcio femminile o c'e' una certa indifferenza da parte loro?

Se non ci fosse stato il presidente Giulivi non mi avrebbero dato questi impiegati. Dal punto di vista dell'organizzazione e della struttura mi ha dato una mano. Secondo me, siamo in una fase delicata. Appena io sono entrata ho cercato di studiare come erano i meccanismi all'interno della Divisione, della Lega e della Federcalcio. Anche loro stanno studiando me per vedere se veramente ho le doti, la capacita' e delle idee concrete per fare qualcosa o sono solamente una donna un po' isterica che si e' svegliata una mattina e ha detto "Invece di fare i merletti, mi dedico al calcio femminile"! Io penso e mi auguro, di dimostrare loro che ho delle idee. Comunque, finora mi hanno dato una mano onestamente.
Le società pensavano, e forse anch'io in primo tempo lo pensavo, che una mano da parte loro volesse dire allargare la borsa, "Dammi degli aiuti economici per poter fare qualcosa". Invece questo tasto e' meglio non toccarlo. Bisogna aggirare l'ostacolo, andare a fare delle proposte concrete, tipo: "Ho bisogno della ripresa televisiva di Italia-Finlandia in diretta perché se no nessuno crede al calcio femminile".  E la ripresa di Italia-Finlandia ci sarà. Fino adesso non ho portato in Consiglio di Lega nessun documento, nessun protocollo. Ho fatto solamente delle richieste contingenti, per esempio, facciamo quattro gironi e abbassiamo l'età del torneo giovani calciatrici.

Quali sono alcune delle maggiori lamentele che sente dalle società e dai presidenti regionali?

L'unica cosa che chiedono le società sono soldi, soldi e soldi. Non capiscono. Io sono arrivata al punto che anche se avessi dei soldi non li darei mai. Darei delle strutture, pagherei i tecnici qualificati perché vadano presso loro. I presidenti guardano al contingente, alla trasferta che devono fare il sabato dopo, la domenica dopo. Purtroppo invece dobbiamo andare in un'altra sintonia. Dobbiamo aver un po' piu' di lungimiranza. Dobbiamo prevedere e programmare. Poi dobbiamo costruire i settori giovanili perché altrimenti con i presidenti non andiamo d'accordo. Con questo mi scontrerò fino alla fine. Non e' possibile che una squadra di vertice abbia solamente 15 o 20 tesserate. Una squadra che e' all'apice del proprio campionato deve avere almeno 40 tesserate e fare attività con una seconda squadra senno' non può dire di aver vinto nulla. I presidenti sono due tipi: dipende dall'età, dalla mentalità, oppure anche dalla realtà che vivono. Ci sono quelli che aperti che accettano il calcio femminile e cercano di far qualche cosa. Qualcuno invece lo lascia vivere e basta.

Lei e' da molti anni in questo settore. Secondo lei, stiamo vivendo una vera globalizzazione di questa disciplina e pensa che il calcio femminile possa diventare lo sport femminile del ventunesimo secolo?

In Italia penso che sia difficile perché purtroppo per l'Italia siamo tutti calciofili.  Siamo tutti CT al maschile. Io mi scontro proprio con la mentalità di chi dice "Il femminile, ma....". Ed io la domanda che faccio e' "Hai mai visto una partita di calcio femminile"? "No", rispondono. Allora, io dico "Prima la vedi, poi la discutiamo". Credo che sarà un po' difficile sradicare questa mentalità. Il calcio e' uno sport troppo amato, e lo sport piu' amato dagli italiani, quindi sarà un po' difficile fargli accettare quello femminile. Penso che potrà succedere fra un paio di generazioni. Vedo comunque qualcosa di meglio rispetto al passato.

Quando lei parla di calcio femminile con i suoi interlocutori, quali sono alcune cose che le danno più fastidio?

Di parlarne senza aver mai visto una partita! E poi le domande stupide come, "Cosa fanno quando prendono un colpo al seno?" Io rispondo, "Scusi, e quando prendono un colpo al basso ventre gli uomini?". Questi preconcetti... Oppure, il fatto che il calcio rovini le gambe! E' passato il periodo in cui le ragazze non facevano sport. Lo sport ora lo fanno. Fra l'altro, le ragazze che giocano a pallone non e' che usino solo le gambe. In una squadra vera, c'e' il preparatore atletico che fa sviluppare armonicamente tutto il corpo.

Per diventare presidente della Divisione ha dovuto lasciare gli incarichi della sua società, il Fiammamonza. Quanto le e' pesato dover "abbandonare" la squadra?

E' stato una scelta. La scelta di aver fatto il presidente del Fiammamonza e' stato una scelta d'amore, ed anche questa e' stata una scelta d'amore. E' stata una prova. Ho voluto misurare me stessa nel senso che io sono sempre vissuta all'ombra di mio marito e lui faceva tutto. Io facevo solo l'assistente. Lui faceva concretamente, io facevo quello che lui pensava. Non essendoci più lui mi sono trovata un po' chiusa nei rimpianti, in una scatola in cui da una parte c'era il desiderio di continuare a fare quello che aveva fatto lui per non tradirlo, perché l'ultimo suo pensiero e' stato per la squadra. Da un lato c'era il desiderio di dare un senso alla mia vita e poi ad un certo punto mi sono accorta che stava un po' stretta questa vita all'interno del Fiammamonza perché era troppo legata al paragone di cosa era il Fiammamonza quando c'era lui e la stessa squadra il giorno che non c'era più. Mi stavo cristallizzando a livello personale.
C'era improvvisamente questo discorso dell'elezione e ho fatto una prova. Vedere il fatto di essere vissuta accanto lui nell'ombra, pero' mi aveva dato la possibilità di farmi conoscere, di farmi apprezzare, soprattutto di poter fare e di mettere a disposizione di tutto il movimento quello che avevo imparato con lui. Non ho abbandonato il Fiammamonza. I dirigenti sanno che hanno sempre un punto di riferimento. Trent'anni non si cancellano. L'ho fatto perché era difficile per me sopravvivere.

Un paio di anni fa l'Italia perse il treno per gli Europei, il Mondiale e le Olimpiadi in un solo colpo. E' convinta che questa volta ce la farà?

Per scaramanzia bisogna sempre dire "aspettiamo". I presupposti ci sono. Il gruppo di giocatrici, anche se privo di qualche pedina importante, c'e'. Il mister ha capito. Mister Vatta e' una garanzia e Russo (il CT della nazionale Under-18) lavora benissimo insieme a lui. Siamo sulla buona strada. Non vedo che cosa potrebbe togliercelo.

Ha intenzione di creare un ufficio marketing per vendere meglio il prodotto, cioè il calcio femminile italiano. Perché nessuno ci ha pensato prima a quest'iniziativa?

Dovrebbe chiederlo a chi non l'ha fatto (risata)! Mio marito faceva l'avvocato e per quanto fosse bravo gli introiti del suo studio non gli avrebbero mai permesso di far vivere una società per trent'anni, quindi all'interno della mia società una delle prime cose e' stato quello di andare a trattare con i contatti di mio marito. Penso di avere un background in questo senso. Non so perché non ci hanno pensato prima e me lo chiedo, pero'...

Parliamo del settore tecnico che e' molto importante quando si parla di calcio femminile. Si sa che alcuni tecnici, specialmente quelli della Serie B e C, non sono qualificati e non si aggiornano quasi mai. Che cosa sta facendo la Divisione ed il Settore Tecnico per cambiare questa tendenza negativa?

Anche se e' una cosa impopolare, io mi sono già presa la responsabilità di inviare una lettera personale a tutti i presidenti in cui chiedevo assolutamente che alla guida delle squadre ci fosse un tecnico qualificato perché avere il patentino non significa solo essere bravo, avere il patentino vuol dire avere anche la volontà di imparare, la volontà di aggiornarsi, voler dare qualcosa e prendere qualcosa. Per me quindi e' fondamentale. A dicembre ho tenuto un corso a Coverciano di tre giorni. Abbiamo in programma altri corsi di aggiornamento a livello sia regionale che nazionale.

Perché la scelta di Sergio Vatta come CT della nazionale?

Si e' discusso di cambiare lo staff tecnico e non era facile sostituire mister Guenza che nel suo campo era il numero 1, il top, nessuno lo poteva mettere in discussione. Era difficile. Sono riuscita a coinvolgere emotivamente Sergio Vatta tanto che nel suo ambito e' stata un po' una bomba per noi perché nessuno credeva che lui venisse a lavorare nel femminile visto il suo passato. Lui qui non ha niente da guadagnare. E' una scommessa sul futuro che ha fatto anche lui con se' stesso. Non aveva ne' bisogno di un posto al sole ne' di un posto dove lavorare. L'ha fatto proprio perche' e' stato coinvolto emotivamente. Sta dimostrando di aver saputo entrare senza fare sconquassi, perché non ha cambiato quasi nulla. Ha solamente seguito la traccia, magari con le sue idee. La cosa più bella e' che non e' arrivato dicendo "Quello che e' stato fatto e' tutto sbagliato, adesso si ricomincia da capo". Ha capito che bisognava continuare su quella falsariga perché era l'unica possibile. Bisognava rinnovare perché purtroppo gli anni passano per tutti, e sono sicura stia lavorando bene.
Dovendo sostituire Guenza, mi sembrava giusto da un punto di vista umano, pero' impossibile da un punto di vista tecnico, trovare all'interno del calcio femminile una persona che avesse quel qualcosa in più. Ho spostato quindi la mia attenzione su Vatta, che da un punto di vista professionale e' incontestabile, specialmente nel settore giovanile. Siccome noi abbiamo molto da imparare, siamo al livello del settore giovanile nonostante tutto. Ho provato a parlargli e sono riuscita a coinvolgerlo emotivamente. E' stato affascinato dall'idea di provare qualche cosa di diverso, qualcosa di nuovo.

Alcuni voci maligne hanno detto che siccome Sergio Vatta e Vittorio Russo non trovano più spazio nel calcio maschile, finiscono in quello femminile. Questo e' senz'altro un parere negativo su due tecnici altamente qualificati. Che cosa risponderebbe a queste osservazioni?

Io direi che metterla su questo piano e' dequalificante dal punto di vista professionale di chi fa queste illazioni. Comunque, i risultati ed il modo in cui stanno lavorando i due tecnici sul campo smentisce assolutamente queste voci. Vatta non aveva bisogno di allenare. Lui e Russo hanno entrambi un'età che normalmente vuol dire già pensione. Alle persone che criticano direi di indicarmi dei tecnici con l'esperienza di questi due che avrebbero accettato quest'avventura in cui c'e' tutto da perdere e niente da guadagnare.

Nel rapporto dell'UEFA sull'ultimo campionato europeo vinto dalla Germania proprio contro l'Italia, il CT tedesco Tina Theune-Meyer ha detto che si era vista prima del torneo con il CT della nazionale tedesca Berti Vogts per stabilire un programma di preparazione per la sua nazionale. Sarebbe mai possibile vedere Maldini e Vatta scambiare pareri sulla nazionale femminile prima di un torneo importante?

Oggi come oggi non penso. Tutto sta alla bravura nostra della divisione ed alla bravura del mister di renderci credibili e di farci accettare come l'altra faccia dello sport del pallone, cosa che adesso non siamo ancora.

Un'ultima domanda. Ha un sogno nel cassetto?

Un sogno nel cassetto? Il mio sogno e' vedere una partita di calcio femminile in schedina e soprattutto accendere la televisione a casa e vedere sul monitor il calcio femminile.

... e magari vedere l'Italia vincere un Mondiale o una medaglia d'oro alle Olimpiadi?

Magari!
 

BIOGRAFIA

Natalina Ceraso Levati e' nata a Monza il 21.5.1944. E' laureata in Lettere Moderne e ha insegnato latino e italiano fino al 1991. E' stata sposata con l'avv. Fabrizio Levati, deceduto nel novembre 1995. Ha trovato appagamento alla sua passione per il mondo del pallone (tifosa dell'Inter fin da giovanissima) con la fondazione del 1970 della S.S. Calcio Femminile Fiammamonza con la collaborazione del marito, tecnico della stessa fondazione fino alla morte. Prima segretaria (dal 1970 al 1979) e poi, dal 1979 Presidente della stessa Società. Ha potuto acquisire esperienza in campo federale ricoprendo i seguenti incarchi:

Dopo essere stata insignita dal Presidente Federale, nel 1988 per Benemerenza Sportiva, prima donna della Divisione Femminile, della "Stella d'Oro" ha ricevuto vari attestati pubblici di riconoscimento al Suo operato in favore del Calcio Femminile e fra questi, ultimamente: Mario Rimati