ANTONELLA LICCIARDI

Castelfranco di sotto, 20 ottobre 2001
Come sempre il personaggio dell'allenatrice, ancora più dell'allenatore, è un personaggio che ci interessa in modo particolare. Perché un'allenatrice è una ex-calciatrice e per questo testimone di un largo periodo di evoluzione, ma anche perché le allenatrici sono ancora in minoranza rispetto agli allenatori, per uno dei tanti paradossi del calcio femminile. Così cogliamo subito l'occasione di conoscere Antonella Licciardi, ex calciatrice, con una sola stagione in serie A nella Juve Siderno 88/89, adesso allenatrice della neo-promossa in serie A Ludos di Palermo.
- Una domanda scontata: com'è cambiato il calcio femminile in questi anni? Cominciamo dal punto di vista tecnico.
- Non ci sono paragoni, ci sono stati grandi miglioramenti, c'è un grande salto dal punto di vista atletico e tattico, le squadre adesso sono molto più vivaci....
- Però il nostro CT Carolina ha da ridire su come le società allenano le proprie atlete...
- Sì, lei ha ragione ha dire questo, perché siamo in ritardo, in effetti siamo in ritardo. Ma è anche vero che fino a dieci anni fa molte squadre, anche di ottimo livello si allenavano tre volte la settimana, oggi credo che quattro allenamenti siano la prassi di quasi tutte le squadre. Bisogna sicuramente intensificare il lavoro sulla forza, che è il deficit maggiore. Negli ultimi anni si è cominciato a fare questo tipo di lavoro, noi lo stiamo facendo, per esempio.
- Come contorno, come cornice di pubblico, invece quali cambiamenti ha notato?
- Io posso parlare della mia realtà a Palermo. Quest'anno, giocando in serie A, riusciamo ad avere un pubblico numeroso: 200-250 persone. Non facciamo pagare, noi siamo una neo-promossa, per noi è importante il risultato del campo, salvarci e riuscire a lanciare il calcio femminile a Palermo che solo da due anni è ai massimi livelli, l'anno scorso con le Aquile e adesso con noi.
- C'è rivalità fra queste squadre concittadine?
- Sicuramente non c'è "feeling", ma credo che quando si arriva ai massimi livelli, quando occorre avere un'organico all'altezza della situazione, non ci può certo essere "feeling" fra squadre così vicine. Ognuno va per la sua strada, si lavora moltissimo sul settore giovanile. Noi al sud abbiamo avuto difficoltà enormi a reperire le giocatrici da fuori.
- Mi ricordo un episodio curioso alla riunione dei referenti SGS: il rappresentante della Sicilia raccontava di grande simpatia per il calcio femminile nella sua regione, quello del Trentino raccontava invece di ostacoli e di pregiudizi. I luoghi comuni sulle diverse mentalità del nord e del sud sembrano essere stati clamorosamente smentiti.
- Obiettivamente negli ultimi anni non abbiamo avuto problemi di pregiudizi da parte dei genitori. Quello che secondo me invece manca è la cultura sportiva. In effetti se i genitori molte volte non ci aiutano non è perché non vogliono che la figlia giochi ma perché manca una vera cultura sportiva. Anche con ragazze brave a volte abbiamo avuto delle difficoltà nel rapporto con i loro genitori, cose che nel giovanile maschile accadono normalmente, noi ce le ritroviamo anche in prima squadra. Spesso ci si trova di fronte a scelte pesanti: si rischia anche di perdere delle ragazze giovani, decidendo di seguire la nostra strada.
Poi, in una città come Palermo, con quattro squadre, la concorrenza nel reclutamento delle calciatrici è molto forte. Noi lavoriamo con le scuole. Già da parecchi anni abbiamo squadre "under", quest'anno cercheremo di farne due. Per noi essere arrivati a questo punto è quasi un miracolo.
- C'è mai stata la proposta o la voglia di realizzare un'unica grande società della città di Palermo, anziché quattro piccole in spietata concorrenza tra loro?
- In questo momento non ce n'è la possibilità. Posso dire questo: la realtà della città di Palermo non è conosciuta altrove e forse per questo le grandi atlete non sono mai volute scendere fino da noi. Così ci rimane solo il settore giovanile e su quello lavoriamo, magari riusciamo a tirare fuori due brave all'anno, ma sono tempi decisamente lunghi. Siamo fortunate perché gli enti locali ci aiutano mentre sponsor privati non ne abbiamo. Siamo un po' le "pioniere" in un certo senso, siamo quelle che stanno sfondando il muro.
- Di nazionale si può parlare? fino ad ora le allenatrici sono state un po' reticenti sull'argomento.....
- Io dico semplicemente questo: anni fa mi sono ritrovata ad essere la preparatrice atletica di una squadra di softball. Mi ricordo che i nostri rapporti con lo staff tecnico della nazionale erano continui, intensi, con grosso scambio di esperienza. Ecco, io questo stesso tipo di rapporto nel calcio non l'ho visto.
- Forse le società sono un po' gelose delle proprie calciatrici....
- No, anzi, io direi il contrario: secondo me è la nazionale che sembra non voglia aprirsi alle esperienze delle società. Se è vero che le società non preparano abbastanza bene le atlete, allora il lavoro con le società deve essere intensificato. Ma il lavoro dell'atleta non può essere fatto solo in funzione della nazionale ma soprattutto in funzione di quello che può fare nella propria società. Magari noi non avendo nessuno in nazionale possiamo anche avere una visione parziale, però anche in prospettiva non mi sembra di vedere un vero scambio di esperienza. Noi abbiamo avuto due ragazze convocate nell'under 19, abbiamo ricevuto l'invito a partecipare ma in giorni lavorativi come si fa ad esserci sempre? Sarebbe meglio riuscire ad organizzare qualcosa quando non si gioca, di sabato o domenica, in modo che si possa partecipare sempre: allora sì che ci sarebbe un vero scambio di esperienze. Mi lascia molto perplessa per esempio il fatto che si chieda che le società giochino con lo stesso modulo della nazionale: io penso che ogni tecnico debba scegliere il modulo migliore in base alle calciatrici che ha.
- Siamo sempre a metà strada tra dilettantismo e professionismo?
- Dovremmo lavorare sulla crescita delle atlete, ma in effetti le stesse atlete non capiscono se sono dilettanti o professioniste. Si allenano la sera tardi, dopo il lavoro: dunque sono dilettanti. Poi facciamo trasferte di due giorni, anche di una settimana e per tutti è un grosso sacrificio. La nazionale invece è un po' fuori da questa realtà e dovrebbe sforzarsi di più per conoscerla.