Che lo sport faccia bene lo sanno anche muri ma che dire a questa
mamma così comprensibilmente preoccupata??!
Innanzitutto è necessario sottolineare che Chiara, sua figlia,
sta attraversando il periodo adolescenziale ovvero un momento fondamentale
della vita, ricco di radicali trasformazioni psicofisiche e di profondi
cambiamenti dell’identità individuale e sociale.
In particolare lo sviluppo organico, a livello individuale, influisce
sull’autostima, sull’immagine corporea, sul senso di efficacia e sugli
elementi costituenti l’identità dell’individuo. Il cambiamento tipico
di questa fase inoltre definisce nuovi ruoli sociali modificando
il rapporto con il gruppo degli amici e con il mondo degli adulti. In questo
particolare momento della crescita di Chiara e, in generale, di tutti gli
adolescenti lo sport può assumere un importate valore educativo,
psicologico e sociale.
Movimento, gioco e agonismo (aggressività) sono i bisogni primari
che la pratica di un’attività sportiva permette di soddisfare.
Non solo. Attraverso l’identificazione con i compagni di squadra (gruppo
dei pari) la ragazza chiarisce quello che vuole essere, quello che non
è, quello che non vuole diventare e i motivi che la portano ad accettare
certi modelli e a rifiutarne altri.
Tiziana deve inoltre considerare che esistono delle ulteriori motivazioni
che spingono l’adolescente all’attività sportiva. In primis
il bisogno di acquisire e migliorare le abilità e le competenze
sportive, ma anche la voglia di divertirsi, di competere, di appartenere
a una squadra e, in particolare per le ragazze, di coltivare le amicizie
e sviluppare una buona forma fisica.
“Ma l’attività motoria sportiva nasconde anche delle insidie!”
sbotta Tiziana. “Mi riferisco alla presenza di alcuni aspetti individuali
e di determinati fattori sociali che possono generare risvolti psicologici
negativi per Chiara e le sue compagne”
E’ vero. Ad esempio: l’esperienza di frequenti insuccessi sportivi
uniti a modalità attributive dei risultati negativi focalizzati
verso l’interno della persona (“E’ colpa mia” “Non posso farcela” “Sono
inferiore”, ecc.) possono generare un vissuto di frustrazione caratterizzato
da sentimenti aggressivi che si riversano internamente o verso l’esterno.
Ma anche i fattori sociali come le eccessive pressioni ambientali, l’esagerato
carico agonistico e di allenamento, l’esasperazione del gesto tecnico,
l’adozione di metodologie didattiche inadeguate, la mancanza di rinforzo
appropriato da parte degli adulti significativi, possono favorire l’emergere
di problematiche psicologiche.
L’abbassamento di motivazione, autoefficacia e autostima provocate da
tali difficoltà individuali e ambientali, a loro volta, possono
favorire l’insorgere di disturbi d’ansia, dell’umore, del sonno e psicosomatici.
Una delle conseguenze tipiche dell’emergere di queste difficoltà
è la sindrome del burn-out, ovvero un esaurimento delle energie
psicofisiche che, a volte, può sfociare nell’abbandono vero e proprio
della pratica sportiva (drop-out).
Un discorso a parte rivestono alcuni sport in cui vi è una particolare enfasi sulla forma fisica, su modelli estetici e su un controllo ossessivo del peso (es. ginnastica, danza, body- building) che, uniti a difficoltà personali, potrebbero generare un disturbo della percezione del sé corporeo, determinando l’insorgenza di disturbi alimentari (anche senza arrivare ad anoressia e bulimia) e somatoformi (visione distorta del proprio corpo).
Mi rendo conto che tali aspetti negativi hanno un enorme peso sul piatto della bilancia in relazione alla decisione di intraprendere, proseguire o scegliere uno sport. Ma non bisogna dimenticare che attraverso l’impostazione di adeguati carichi di allenamento e lavoro, in base all’età, alle capacità e agli obiettivi della giovane, riducendo le pressioni sociali, rinforzando i comportamenti adattivi e applicando una comunicazione efficace che prevenga comportamenti oppositivi o distruttivi dell’atleta, si possono ridurre al minimo questi rischi mentre gli aspetti positivi rimangono.
Risulta di fondamentale importanza, inoltre, definire dei programmi di formazione per allenatori, staff tecnico e genitori (figure adulte di riferimento), relativamente agli aspetti psicologici dell’adolescenza e agli obiettivi didattici da raggiungere, favorendo contemporaneamente un sano coinvolgimento della ragazza all’attività praticata e una sempre maggiore diffusione di cultura sportiva.
A Tiziana non posso dire nient’altro se non controbattere con i fattori di segno più: “Lo sport, correttamente inteso, favorisce la motivazione intrinseca soddisfando i bisogni che hanno avvicinato l’adolescente alla disciplina. Inoltre conserva e incrementa il senso di autoefficacia agendo di conseguenza sui processi cognitivi di attribuzione dei successi e degli insuccessi. Sviluppa le tecniche di gestione dell’ansia e delle emozioni negative. Insegna a programmare e raggiungere gli obiettivi (goal setting). Influisce positivamente sulla costruzione dell’immagine corporea e permette l’espressione di rappresentazioni di sé adattive e rispondenti alle richieste ambientali”.
E ancora “Nell’ambito della socializzazione incanala l’aggressività all’interno di regole accettate e condivise, favorisce la capacità di cooperare e di assumere delle responsabilità”.
Infine lo sport può rappresentare un facile e importante canale di educazione alla salute, favorendogli atteggiamenti più adatti a tale scopo, prevenendo il rischio di assunzione di droghe e in generale il disagio giovanile.
Non so se ho convinto Tiziana. Mi saluta, si volta e se ne va pensierosa,
ma con la coda dell’occhio la vedo fermarsi e poi entrare in quel fantastico
negozio di articoli sportivi indicando alla commessa la divisa in vetrina…
giusto della taglia della sua Chiara.
Psicologa, esperta in Psicologia dello sport contattare: rosberti@yahoo.it o lasciare un messaggio al n°347 0168901 |