KATIA SERRA

di Chiara Manzoni

Bergamo, 7 ottobre 2003.
Lo scorso settembre, quando seppi, con mia grande sorpresa, che l’Acf Bergamo aveva tesserato Katia Serra, 30 anni, giocatrice di buona fama a livello nazionale, un passato nel Foroni e nella Lazio, fui molto contenta. Non la conoscevo se non per quello che aveva fatto in campo, tutti me ne avevano parlato bene, soprattutto per il suo carisma e la personalità che fanno di Katia Serra una persona dalle spiccate doti umane.
Mi presento un tardo pomeriggio prima del ‘solito’ allenamento quotidiano delle ragazze sul campo di Valtrighe e Katia mi viene subito incontro, dimostrandosi esattamente come me l’avevano descritta: disponibile, gentile, affabile.
Centrocampista eclettica, che ama spaziarsi soprattutto sulla fascia destra, con un certo senso del gol, come dimostrano le due realizzazioni in tre partite in questo ottimo avvio con la maglia dell’Acf Bergamo.
Al di là del suo indiscutibile valore tecnico, quello che colpisce di Katia  è la sicurezza nell’esprimersi, tutti nell’ambiente bergamasco si sono affezionati subito a lei,  intelligente e mai banale, parla con  un italiano perfetto:  ascoltarla è davvero un piacere.
Allora Katia come ti trovi a Bergamo? Dobbiamo abituarci, dopo due gol in tre partite, a una Katia Serra versione goleador?
(Sorride n.d.r.) E’ presto per fare dei bilanci, però se inizi bene c’è l’entusiasmo,  con quello si superano tutte le difficoltà, per cui per adesso va tutto bene e speriamo di migliorare ancora tanto.
Come mai hai vissuto un’estate senza squadra?
Per mia scelta, perché volevo rimanere alla Lazio poi sono successe delle cose che non mi sono piaciute. Per me il rispetto di Katia Serra come persona viene prima di qualsiasi altra cosa, questo è venuto meno e di conseguenza, anche se all’ultimo momento, ho preferito aspettare di cambiare. E’ chiaro che quando cambi in extremis non è mai facile poi trovare subito una sistemazione, questo è stato il motivo per cui sono andata molto avanti nella scelta della squadra.
Anche con il Foroni avevi avuto problemi, oppure no?
No, ti dico la verità, ero stata chiamata dalla Lazio, avevo la possibilità di andare a Roma, di giocare la Womens Uefa Cup, di conoscere una realtà diversa, quindi è stata un’esperienza. Mi piace molto fare esperienze perché credo sia un modo per crescere e mettersi alla prova.
A quanto pare il tuo livello di forma è già eccellente, hai svolto la preparazione atletica da sola?
Ho saltato solo la preparazione con la squadra, però mi sono arrangiata per conto mio, fino a luglio ero con la Nazionale. Per fortuna ho un fratello allenatore e quindi non è stato un problema arrivare qui ed essere già pronta a livello atletico.
Tu, in passato, hai allenato le ragazzine del Foroni Verona, come vedi il calcio femminile in prospettiva futura?
Sicuramente bisogna investire sui vivai, quindi sulle ragazzine. Vedo che loro sono molto contente quando vengono a vedere le nostre partite e noi per loro siamo i Del Piero, i Baggio della situazione, questo è positivo. Credo che lo sviluppo del calcio femminile passi attraverso due cose:  l’investimento nei settori giovanili e i risultati in ambito nazionale. Le vittorie in Nazionale sono l’unico veicolo trainante per far sì che uno sport minore esploda e come tale possa far parlare di sé, coinvolgendo sponsorizzazioni e tifosi.
Ma non trovi che questo aspetto stia comunque migliorando? Giornali e tv cominciano a scoprire il calcio femminile…
Sicuramente stiamo migliorando, ma possiamo e si deve, tutti insieme, fare molto di più. C’è ancora molta preclusione e pregiudizio in confronto al calcio maschile. La difficoltà più grande è portare uomini alle nostre partite, è vero che una volta che vengono, difficilmente poi vanno a casa delusi, però c’è proprio diffidenza e non vogliono nemmeno venire.
(Racconto a Katia delle mie enormi difficoltà a portare i miei amici tifosi a vedere il calcio femminile… dandogli conferma di quanto dichiara, la capisco eccome! N.d.r.)
E’ un fattore culturale specie in Italia, magari in altre nazioni mentalmente si è più aperti. Anche le mamme stesse, all’estero, non hanno pregiudizio  a portare le bambine in campo, mentre da noi molte hanno paura, ma devono capire che il campo è una cosa, fuori un’altra, quindi ognuna di noi è libera di esprimere la propria femminilità, non è perché giochi a calcio sei meno femminile di una ragazza che faccia un altro sport. Certo è chiaro, il calcio è uno sport di contatto, aggressivo, non possiamo giocare in punta di piedi, ma appena finito, fuori dal campo siamo ragazze normalissime come tante altre.

Dietro al calcio femminile, c’è senza dubbio la passione…
Se non ci fosse la passione nessuno farebbe i sacrifici che facciamo noi. E sono grandi per il fatto che non hai un investimento per il tuo futuro, un domani se non sei stata brava a studiare e anche per introdurti in altri ambiti. Dopo rischi di trovarti senza nulla, questo è il grosso problema del calcio femminile dilettantistico. L’ideale sarebbe diventare professioniste perché in quel modo avremmo maggiori tutele dal punto di vista sanitario e delle indennità.
Oggi che lavoro fai? Ti sei stabilita a Bergamo?
Sì, mi sono trasferita qui, sono di Bologna e da casa ci mettevo troppo, quasi tre ore, per questo ti dico dei tanti sacrifici. Per il calcio rinunci a tanto: alla famiglia, agli affetti, al lavoro.
Sono insegnante di Educazione Fisica (Katia è laureata in Scienze Motorie n.d.r.), ma ora faccio la calciatrice a tempo pieno, anche perché se vuoi rimanere in Nazionale devi affrontare le cose in questa maniera, altrimenti rischi di uscirne perché lì, il livello è molto alto e competitivo.
Parliamo dell’Acf Bergamo, come hai trovato la società e le compagne?
Sicuramente il Bergamo è una buona società, si vede che ha voglia di crescere, di migliorare e con questi presupposti si può fare bene. Però in Italia poche squadre hanno questa mentalità. Tre club  Lazio, Foroni e Torres, anche per esperienza e tradizione, sono un gradino sopra le altre, poi veniamo noi ed altre che possiamo fare bene, intanto ci siamo già tolte la soddisfazione di pareggiare con la Lazio. Ho trovato un’ottima disponibilità da parte di tutte le compagne, sia quelle più giovani che quelle che mi si avvicinano come età (ride n.d.r.).
Chi ti ha impressionato di più della tua nuova squadra, al di là del nostro fiore all’occhiello Melania Gabbiadini?
(Di un tratto diventa seria e scuote la testa n.d.r.) Non voglio fare nomi per non dare torto a nessuno, non è che c’è una meglio dell’altra, sono tutte molto carine e disponibili, mi hanno accolto molto bene e questo per me è stato molto importante, visto che sono arrivata subito in campo.
Cosa manca all’Acf Bergamo per vincere lo scudetto?
E’ una squadra molto giovane, ancora inesperta però con il tempo… basta pensare che il Foroni ci ha messo quattro anni prima di vincere lo scudetto. Noi siamo al secondo anno di Serie A, non bisogna avere fretta, i passi vanno fatti per gradi, solo in questo modo si possono ottenere risultati. Altrimenti i cambiamenti veloci non portano da nessuna parte: ci vuole programmazione e una crescita passo per passo.
Ho saputo che sei stata convocata, insieme a Gabbiadini, in Nazionale per andare a giocare negli Stati Uniti, più precisamente a Kansas City, contro le americane e una selezione di All Stars. Emozionata?
Sicuramente sarà un’esperienza formativa perché quando vai a giocare contro le squadre più forti hai solo da imparare. Ho avuto la fortuna di andare anche l’anno scorso, ti dico la verità, è stata una bellissima esperienza sia professionale che di vita.
Ma in Nazionale Carolina Morace utilizza metodi di allenamento e una preparazione atletica diversa rispetto a quello che svolgi con il tuo club?
Sì, è tutto molto diverso. In Nazionale ti confronti con un gruppo dove si è tutte allo stesso livello, c’è molta competitività, ti alleni due volte al giorno, con allenamenti intensi, pesanti, ma solo in quel modo puoi crescere e migliorarti. Gli stage con l’Italia e le gare contro le squadre più forti sono belle esperienze che non capitano a tutti e non farei cambio con nessuno. In tutti i mestieri ci sono aspetti positivi, altri negativi. Di certo i viaggi sono quelli negativi… però insomma quando mai ti capita di andare in America?
Se Bergamo ha un nuovo sogno, è anche merito di questa ragazza che ha davvero tutto per conquistare i tifosi biancoblù, buon viaggio Katia.



(versione integrale di un’intervista per il L’Eco di Bergamo, ottobre 2003)