Tra i pochi
allenatori di calcio femminile provvisti di patentino da professionista,
ce n’è uno che abbina al bagaglio tecnico-tattico personale una
conoscenza enciclopedica di tutto ciò che riguarda questa disciplina.
Le caratteristiche, i pregi e i punti deboli di qualsiasi giocatrice di
serie A dell’ultimo decennio per lui sono tutt’altro che un mistero.
Mario Silvetti è il tecnico che alla fine degli anni Ottanta
guidò una sconosciuta società di serie C, il C.U.S. Sassari
(cioè l’attuale Torres), alla promozione in serie A in due anni,
sino alla storica conquista della Coppa Italia proprio nella stagione da
matricola, eliminando nientemeno che la Lazio e la Reggiana Zambelli.
Nel ’92 arrivò la chiamata della Federazione: in sei anni,
sino al ’98, il mister sassarese ha collezionato oltre 60 panchine in gare
ufficiali alla guida delle Nazionali Under 15, 18, 20, portando l’Under
18 sino alla fase finale del Campionato Europeo. Contemporaneamente ha
rivestito anche il ruolo di vice-Guenza nella Nazionale maggiore: il migliore
risultato di quel periodo fu la finale degli europei, persa ai rigori contro
la Norvegia.
Tre anni fa il ritorno su una panchina di club: la scommessa-Cabras
fu subito vinta con l’immediata promozione in serie A e l’eccezionale quinto
posto dell’anno successivo.
Questa stagione Silvetti svolge il ruolo di coordinatore tecnico
alla Reggiana, capolista in serie B, collaborando costruttivamente col
mister granata Tigrini.
- Da ex tecnico federale, come vedi la situazione della nazionale?
Credo che Carolina Morace debba essere lasciata lavorare in pace. Quando
è arrivata sulla panchina azzurra, il movimento stava attraversando
un momento tutt’altro che brillante; non si può pretendere miracoli
da un giorno all’altro. Lei è di sicuro una persona competente e
preparata, ma per ottenere buoni risultati ha bisogno di tranquillità,
non di qualcuno che le faccia la guerra.
- Intendi la Federazione?
No, tutt’altro. La Federazione, piuttosto, dovrebbe far sì che
i suoi delegati in seno all’UEFA la tutelino dal punto di vista arbitrale.
- Qual è il peggior difetto del calcio femminile italiano?
Le vere pecche della nostra disciplina riguardano la competenza dei
tecnici e soprattutto dei dirigenti. Troppo spesso gli incarichi dirigenziali
vengono ricoperti da persone che non hanno alcuna esperienza di spogliatoio.
Ho molte riserve da questo punto di vista: non è accettabile che
dirigenti che si avvicinano al calcio femminile dopo dieci anni di tennis,
di bocce, o di qualsiasi altro sport non di squadra, pretendano di sapere
già tutto; come se non bastasse, molti pensano a curare solo la
propria immagine, senza badare agli interessi complessivi del movimento.
Ripeto: c’è troppa improvvisazione, sia a livello tecnico che
dirigenziale. Occorre avere competenza e consapevolezza.
- Insomma, il calcio femminile è da rifondare?
Non ho detto questo: al contrario, bisogna pensare una volta tanto
a costruire, piuttosto che a distruggere.
Un esempio costruttivo è quello della Reggiana, e non lo dico
perché è la società con la quale collaboro: il presidente
Betty Vignotto, un’ex calciatrice che non ha bisogno di presentazioni,
sta dimostrando di avere delle ottime capacità a livello manageriale.
Pur non possedendo grosse risorse economiche, ha costruito una realtà
che dal mio punto di vista andrebbe imitata. Questo è il modello
di società sana, gestita da persone appassionate ma allo stesso
tempo competenti. E anche lungimiranti, visto che il settore giovanile
è il progetto più importante su cui la società sta
investendo.
- E in serie A?
Sto seguendo da vicino, con grande interesse, il lavoro che Andrea
Fagnani sta facendo al Foroni, con l’aiuto della dottoressa Giorgia Pinto.
Anche Fagnani ha un discreto passato da calciatore e come manager sportivo
sta dicendo la sua. Basti pensare a ciò che ha fatto con il Mantova
maschile, dove ha risanato completamente la situazione dirigenziale.
- Quale personaggio potrebbe contribuire a far definitivamente decollare
il calcio femminile?
Come ho già detto, chiunque abbia capacità e passione.
Penso a Giancarlo Padovan, che si è affacciato a questa disciplina
con grande passione ed estrema professionalità. Ed è da ammirare
perché non ha paura di esporsi nei confronti di certi personaggi
che danno dei giudizi affrettati sul calcio femminile non avendo alcuna
competenza in merito.
- Il riferimento all’ultima puntata di Controcampo è più
che evidente. Parliamo d’altro: chi la spunterà tra Lazio e Foroni?
É probabile che si vada allo spareggio. Solo una giornata storta
di una delle due concorrenti può far sì che l’altra arrivi
prima. In questo momento sono entrambe imbattibili.
Ho visto lo scontro diretto della settimana scorsa e devo dire che
il Foroni mi ha impressionato di più; comunque sono due buonissime
squadre.
- Quali sono le giocatrici scoperte da Mario Silvetti?
Dato che abbiamo parlato del Foroni, mi fa piacere ricordare due nomi:
Manuela Tesse e Giulia Perelli. La prima l’ho schierata a Sassari in una
finale di Coppa Italia quando aveva 14 anni; ora è un punto fermo
della nazionale. Perelli l’ho portata io nel giro azzurro, anni fa, e da
allora non è mai uscita.
Ma l’aneddoto più curioso riguarda Simona Sodini: la vidi palleggiare
in un vicolo di Sassari quando non aveva ancora 10 anni e la portai nelle
giovanili della mia squadra. Dieci anni dopo mi sembra che anche lei dica
la sua in serie A…
- In futuro ti vedremo nel calcio maschile?
Ho già avuto un’esperienza ottima qualche anno fa, alla Torres:
ottenemmo la promozione dall’Interregionale alla serie C2. Per quest’anno
l’obiettivo è contribuire a portare la Reggiana in serie A. Poi
si vedrà, non si può mai sapere.