...e la Wusa non c'è più

rassegna stampa

Da Il Correire della Sera del 17/09/03

A soli tre giorni dal Mondiale il fallimento del movimento

Fuggono sponsor e tv il calcio femminile ko

Negli Usa la Lega donne chiude per debiti

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON - Ai bordi del campo, Mia Hamm piange. La più famosa calciatrice del mondo ha appena appreso che la Lega femminile di calcio è sospesa. Chiude i battenti dopo tre soli anni, per mancanza di fondi: ha 20 milioni di dollari di deficit, deve liquidare il personale e pagare i debiti. A soli tre giorni dal campionato mondiale, è un tremenda botta. Hamm è sconsolata: è la fine di un sogno inseguito per l´intera vita. Se le andrà bene, la campionessa, ormai al termine della carriera, potrà ancora consolarsi con il bis del titolo iridato dopo quello spettacolare del ´99, e con il titolo olimpico ad Atene l´anno prossimo.
Ma per le più giovani compagne è un salto nel buio.
Sul New York Times, George Vecsey, forse il giornalista sportivo più famoso d´America, piange la scomparsa della «Women´s league». «Un grande sport - scrive - viene sconfitto dal bilancio». Vecsey non se ne raccapezza: il calcio è lo sport più popolare dell´infanzia e adolescenza Usa, tutte le mamme americane sono chiamate «soccer moms», mamme del pallone, perché non fanno che portare i figli alle partite. Ma in America, come oggi in Italia, lo sport è innanzitutto «business», affari. E la lega femminile di calcio non ha generato un «business» sufficiente per tenerla in vita. In tre anni, nonostante la fama della Hamm e le sue compagne, nonostante i due titoli mondiali (il primo risale al ´91), nonostante le promesse, sono mancati gli sponsors. Persino la Time Warner e la Comcast, due regine delle tv, si sono tirate indietro.
I conti non guardano in faccia a nessuno, lamenta Gorge Vecsey. Nel 2001, al primo campionato, le campionesse in media attrassero 8.500 spettatori per incontro. Nel 2003, ne hanno attratti solo 6.500. Invano Mia Hamm e le altre si sono tagliate lo stipendio, da 80 mila a 60 mila dollari annui; stipendio da funzionarie, non da dive dello sport. L´amministratore e fondatore della lega, John Hendricks, non ce l´ha fatta più. Hendricks è il santo patrono del calcio femminile americano, ha fondato la tv Discovery, una delle migliori del mondo, ha investito 60 milioni di dollari di tasca sua. Si è arreso. L´unico impegno che ha preso, nel caso le calciatrici americane vincano il Mondiale e l´Olimpiade, è di riprovarci nel 2005. Ma i sogni spesso non ritornano.
Per lo sport Usa è un trauma: Bruce Arena, l´allenatore della nazionale maschile, parla di un «brutto giorno per la nostra immagine».
Ma il trauma è anche culturale: le donne avevano trovato nel «soccer» una via di emancipazione, la conferma della parità sessuale. Non abbiamo squadre di baseball, dicevano, non di football americano, non di hockey, solo di calcio e di pallacanestro.
Ma adesso sono ridotte al basket, e anche quello è in pericolo. «È una forma di discriminazione» protesta April Heinrichs, la ex centrocampista che dirige la nazionale femminile. «Solo se i tifosi si ribelleranno otterremo giustizia». Rispetto al ´99, quando furono portate in trionfo, le calciatrici sono diventate le cenerentole del gotha Usa.
Perché i tifosi si ribellino occorrerà che Hamm faccia davvero il miracolo e vinca il Mondiale e i Giochi. L´America del dopo 11 settembre 2001 ha bisogno di eroine, e le sue calciatrici sono in prima fila. Il Mondiale, che doveva svolgersi in Cina, e fu spostato a causa dell´emergenza Sars, consisterà di 32 match in sei città diverse. Le americane debutteranno domenica con la Svezia nello stadio di Washington, dove la squadra vincitrice dell´ultimo campionato, Freedom (libertà), è di casa.
Nei pronostici, la finale sarà tra loro e le cinesi, le avversarie di sempre. Le accompagnano gli auguri non solo degli americani, ma di tutti gli sportivi del mondo. Ma le prospettive finanziarie non sono incoraggianti: sinora è stato venduto solo un terzo dei biglietti. Ennio Caretto


Da Il Correire della Sera del 17/09/03

IL PARERE DEL C.T. AZZURRO

La Morace: «Ma in Europa c´è un vero boom»

Carolina Morace, ex campionessa e attuale c.t. dell´Italia «rosa», si stupisce: «Il calcio femminile è in crisi negli Usa? Sono sorpresa. In Europa l´interesse cresce. Al di là della Germania, che ha vinto due Mondiali e che vanta 800 mila iscritti, ci sono gli altri Paesi: la Francia ha raggiunto 55 mila tesserati, l´Inghilterra 60 mila. In Italia il calcio femminile è un patrimonio importante, ma purtroppo negli ultimi anni troppi problemi hanno avuto priorità rispetto al nostro sport. Sono del parere che andrebbe incentivato». La Morace ha idee precise: «L´evento calcio si può creare, tutto dipende dagli interessi che stanno dietro. Negli Usa era diventato popolare grazie a una nazionale trainante. L´occasione per rilanciarlo potrebbe essere rappresentata dai campionati del mondo. Gli americani, sportivi e non, davanti a un grande evento, fanno presto a farsi coinvolgere».  g.gh.


Da Il Messaggero Mercoledì 17 Settembre 2003

 COSE DALL’ALTRO MONDO

 La bancarotta delle ragazze Usa

  Il calcio femminile chiude per debiti a cinque giorni dai mondiali

  dal nostro corrispondente STEFANO TRINCIA

NEW YORK - La sentenza che sta facendo piangere e disperare quasi sette milioni di calciatrici in erba, con mamme al seguito, è arrivata brutale e senza preavvivo. Come si confà allo stile spietato del capitalismo Usa. Niente mezze misure, vertenze sindacali, tentativi istituzionali di salvataggio, manovre più o meno oscure dietro le quinte. Un calcio nel sedere e tutte a casa. Nel caso specifico alle 160 calciatrici professioniste del ”soccer” femminile statunitense, le più forti del mondo, dalla fuoriclasse Mia Hamm alla sexy Brandi Chastain. La WUSA, Women’s United Soccer Association, equivalente ”rosa” della nostra Lega Calcio, chiude i battenti, travolta da una ingestibile crisi finanziaria: venti milioni di dollari di deficit al termine del suo terzo anno di vita, scarsità di sponsor disposti a ricapitalizzare le otto squadre del campionato, Tv latitanti, stadi mezzi vuoti. Quindi, senza tanti complimenti, giù il sipario, la festa è finita.
A meno di cinque giorni dall’inizio del Campionato Mondiale di calcio femminile che proprio gli Stati Uniti hanno organizzato in tutta fretta dopo il forfait della Cina, afflitta dall’epidemia della Sars, le eroine in calzoncini e maglietta si vedono sfilare il pallone dai piedi e rifilare quello che suona come un licenziamento in tronco. «Sono umiliata ed addolorata - ha dichiarato la trentenne Mia Hamm, cannoniera del Washingon Freedom, la squadra della capitale che grazie ai suoi gol ha appena vinto l’ultimo, da tutti i punti di vista, scudetto della Wusa - non posso credere che una realtà sportiva così bella ed entusiasmante possa finire, continuerò a battermi per il nostro soccer».
La bellissima favola era cominciata nel 1999 con il Mondiale femminile che proprio in Usa aveva incoronato le campionesse americane: una finale straordinaria contro la Cina davanti a 90.000 spettatori ed altri 18 milioni in Tv, che aveva entusiasmato il Presidente Clinton ed un’intera nazione. Lanciando in orbita il calcio nord-americano, già alimentato - anche a livello maschile - da una fenomenale partecipazione giovanile: 15 milioni di giocatori e giocatrici nelle scuole elementari, medie e superiori di ogni angolo degli Stati Uniti.
Gli sponsor, le Tv via cavo si erano buttati a pesce. Cento milioni di dollari di investimento per promuovere la Lega Calcio femminile, otto squadre tirate su dal nulla nelle principali città Usa. La scommessa non ha però avuto vita lunga: con l’inizio della crisi economica i ”big” hanno chiuso i rubinetti delle sponsorizzazioni e della pubblicità; l’affluenza media negli stadi partita da un’incoraggiante quota 8500 - si è giocato sempre in impianti secondari - è scesa a 7000 il secondo anno ed a 6000 nell’ultimo campionato.
Le star del soccer hanno cercato di tamponare la falla, riducendosi lo stipendio del 25 per cento. Ma non è servito a nulla, solo due sponsor si sono fatti timidamente avanti per il 2004. Ed ora è polemica feroce: per il paradossale tempismo dell’annuncio che sgonfia il morale delle ragazze alla vigilia della partita mondiale con la Norvegia; per le lacrime delle bambine. E per la conferma che lo sport, in Usa come nel mondo, è e rimane al maschile: «Quando sento di sponsorizzazioni da trenta milioni di dollari per le scarpette di un giocatore di basket - ha sibiliato furiosa Mia Hamm - mi viene voglia di mandare tutto all’aria perché ci trattano ancora da atlete di serie B».


Da Il Gazzettino on Line Mercoledì, 17 Settembre 2003

IL CASO. Dal trionfo Mondiale del 1999 alla bancarotta: il movimento travolto dalla mancanza di sponsor

Campionesse disoccupate: chiude i battenti il calcio femminile Usa

 Le ragazze del calcio americano hanno fatto bancarotta. Il campionato di calcio femminile , travolto dai debiti, ha chiuso i battenti. Il sogno è finito. La vittoria delle ragazze Usa ai mondiali del 1999, l'immagine trionfante di Brandi Chastain in reggiseno, il carisma di Mia Hamm non sono serviti a tenere in vita lo sport preferito da bambine e adolescenti americane, soffocato dalla mancanza di sponsors. A tenere in vita il calcio femminile sarebbe bastato anche uno solo dei contratti miliardari offerti con entusiasmo dalle aziende Usa ai campioni maschili del baseball, del football americano, del basket o del golf.
Ma la passione delle ragazzine Usa e delle campionesse mondiali della nazionale non si è tradotta in introiti. Nei tre anni di vita della lega di calcio femminile , la WUSA, la media degli spettatori negli stadi è scesa da 8,116 a 6,667 persone, le partite trasmesse in TV dal canale secondario PAX non hanno mai superato i 100 mila spettatori. Nessuna partita tra le otto squadre del campionato femminile Usa è mai finita su una Tv nazionale.
Dopo avere gettato al vento 90 milioni di dollari in tre anni gli ideatori della WUSA, guidati dal miliardario John Hendricks, hanno dovuto gettare la spugna. «Il trionfo del 1999 ci aveva inebriato e portato alla conclusione sbagliata che le compagnie Usa avrebbero riversato una montagna di dollari sul calcio femminile - ha spiegato Hendricks -. Questo non è mai successo, anche per colpa della crisi economica».
L'annuncio della chiusura della lega è giunto alle atlete della nazionale Usa, rimaste tutte disoccupate, a pochi giorni dall'inizio dei mondiali di calcio , che si svolgeranno da questo fine settimana negli Stati Uniti (dopo lo spostamento precipitoso dalla Cina, colpita dalla epidemia SARS).
L'annuncio è stato accolto con grande emozione dalle campionesse del mondo. Molte sono scoppiate a piangere. Ma la disperazione è stata seguita anche da una nuova determinazione: «Questi mondiali rappresentano una grande occasione per rinnovare l'interesse degli americani per il calcio femminile ». Ma anche una vittoria ai mondiali difficilmente farà piovere sul calcio femminile Usa i dollari delle multinazionali.


Da La Libertà del 20/09/03

Investire sul calcio femminile

Intervista alla ct della nostra Nazionale Carolina Morace.
Oggi negli Stati Uniti iniziano i Mondiali, senza l'Italia ma con la speranza di risollevare il "soccer"
Dopo il crack finanziario della Wusa, la Lega calcio femminile americana, gli amanti del soccer made in Usa sperano che la situazione si risollevi grazie ai Mondiali che cominciano oggi proprio negli Stati Uniti. Ne abbiamo parlato con la ct della nostra Nazionale Carolina Morace.
Mondiali al via senza l'Italia, come mai?
Siamo state eliminate dalla Russia, tra l'altro subendo due rigori contro in pochi minuti mentre stavamo vincendo 1-0 la partita decisiva. Comunque i motivi vanno ricercati nel ritardo che accusiamo rispetto ai ritmi internazionali, sia a livello di club che di Nazionale.
Che squadra è, attualmente, quella azzurra?
Recentemente, dopo gli Europei, c'è stato un ricambio generazionale, abbiamo una squadra giovane e un po' inesperta. Poi c'è il problema dello scarso numero delle tesserate, di molto inferiore rispetto ad altri paesi europei.
In particolare a quelli del nord Europa, no?
Certo, ma lì è una questione di cultura, di un maggior spazio dato alle donne a livello sportivo. Mi riferisco anche all'Inghilterra o alla Francia, paesi in cui il numero delle tesserate è cinque o sei volte il nostro. Il problema è che loro hanno investito e fatto progetti in una certa direzione.
Mentre in Italia questo non accade?
Diciamo che ultimamente i vertici federali hanno avuto altro a cui pensare, ma spero che in futuro tornino a occuparsi di noi.
A tal proposito, che idea si è fatta del caos estivo che ha investito il calcio italiano?
Non mi sono piaciuti i toni accesi e troppo arroganti di alcuni presidenti, serviva più senso di responsabilità. D'altra parte il calcio non può essere solo business, gli sponsor non bastano se non c'è la passione. E' un po' lo stesso problema che c'è stato negli Stati Uniti.
Si spieghi meglio, da dove nasce la crisi che ha colpito il "soccer" americano?
Il calcio femminile Usa è un movimento di dimensioni enormi: 18 milioni di tesserate, grande risonanza mediatica e ritorno economico. Ma è troppo basato sugli sponsor e pilotato dalla Lega, che ha costruito le squadre, eliminato le retrocessioni, creato lo spettacolo. Alla lunga non appassiona più il pubblico e i guadagni calano. Ora sperano di risollevarsi grazie all'interesse suscitato da questi Mondiali.
Quali sono, secondo lei, le squadre favorite?
Gli Stati Uniti, anche perché giocano in casa, insieme alla Svezia, che è molto forte; poi vedo bene la Germania.
A proposito di Svezia, cosa pensa dell'idea del presidente del Perugia Gaucci di portare in serie A tra gli uomini la centravanti delle scandinave?
Sinceramente non me ne importa niente, ma se questa provocazione di Gaucci può servire a far parlare un po' di più del calcio femminile, allora ben venga.
In un dibattito alla Festa di Liberazione si è parlato della condizione della donna negli ambienti sportivi, ritiene che la discriminazione si senta ancora forte?
C'è discriminazione in Parlamento figuriamoci nello sport! Alcune differenze di trattamento sono veramente scandalose, e in tutti gli sport. Il punto è che per comprendere problemi ed esigenze delle donne ci vogliono altre donne, serve cioè una maggior presenza femminile nei posti dirigenziali, a cominciare dal Coni.

Niccolò Carratelli sport@liberazione. it