La signora, in altre occasioni, magari quando invita a casa le amiche per un tè, è amabile, gentile, perfino colta, ma quando va a vedere le partite della figlia si trasforma, diventa una furia e dimentica i fondamentali della buona educazione. Come lei tante altre mamme, con la ripresa dei tornei, sono tornate ad accompagnare le loro figliole alle partite, mamme di tutte le campionature, ansiose o calme, impetuose o placide, moderate o estremiste.
Da parecchi anni, ormai, il tifo è mamma. Anche nonna, zia, sorella e cugina. Una volta invece erano i papà a portare i figli a giocare a pallone (ed è pur vero che fino a pochi anni fa erano pochissime le ragazze che praticavano questo sport) e se un papà per qualsiasivoglia motivo non poteva, chiedeva ad un altro papà. C’erano dei papà davanti all’ingresso del campo che scaricavano dalla vecchia 600 mezza squadra con le relative sacche e magari il cocker che faceva da mascotte. Adesso sono le mamme, subentrate col fuoristrada da safari africano che può contenere una squadra intera completa di riserva.
I papà erano meno apprensivi delle mamme, meno tachicardici.
Non digiuni di calcio, insultavano l’arbitro con competenza, magari gli
ricordavano a gran voce la presunta professione della madre e sapevano
che se solo avessero gridato “Arbitro i me le copa” sarebbero stati
irrisi dagli altri papà.
Oggi i papà sono in minoranza ed hanno qualche remora ad insultare
gli arbitri perché temono di sfigurare nei confronti delle mamme
che sanno attingere ai repertori più vasti. Qualcuno ci prova senza
efficacia come quel signore, all’apparenza distinto, che pescando dalla
drammatica attualità sul campetto di via XXV Aprile ha apostrofato
l’arbitro con un inedito “talebano” facendo sorridere tutti i papà,
ma non le mamme.
Le mamme sono benvolute dagli allenatori perché “fanno spogliatoio”
e, non sapendo niente di calcio, non danno suggerimenti tecnici. Dopo le
partite portano le torte dei compleanni ed il tè, le più
brave lavano le divise e le più premurose usano l’ammorbidente.
Le mamme si odiano fra loro, ma questo non è un problema. A
causa della loro invadenza sono odiate dai propri figli e questo è
un problema ma non lo sanno.
“Stasera te vè in leto sensa magnar” è la minaccia
ricorrente quando il figlia sbaglia un goal facile, ma se la vicina, mamma
di una compagna di squadra si permette un’uscita del tipo “quel goal
lì lo fasea anca mi” scoppia la lite e lo spettacolo si trasferisce
dal campo alla zona riservata al pubblico.
Il tifo delle mamme, di certe mamme, è argomento di linguisti oltre che di sociologi e psicologi, forse per capire meglio le figlie bisognerebbe studiare a fondo le mamme, e per migliorarle bisognerebbe inpedire a qualche mamma l’accesso ai campi da gioco, come si tenta di fare negli stadi del calcio maiuscolo con gli ultras più pericolosi. La perquisizione ai cancelli non servirebbe, il sequestro, pur temporaneo, della lingua, non è ammesso in una società civile.