Dormelletto, 13 gennaio 1989
Mi trovo coinvolta in prima persona come dirigente/atleta — sono la
responsabile nonché il portiere del Dormelletto, formazione militante
nella serie D piemontese — in quell’entusiasmante movimento sportivo denominato
calcio
femminile che, mai come oggi, deve saper definitivamente uscire dall’anonimato
in cui spesso gli ancor numerosi detrattori e la inconsideratezza di certi
organi di informazione vorrebbero che rimanesse, ignorando completamente
il peso che tale disciplina ha ormai acquisito.
Ma non è questa la questione su cui vorrei puntare la vostra
attenzione, è piuttosto un’altra e di scottante attualità:
l’idoneità medico-agonistica.
Si fa un gran parlare in tutto l’ambiente sportivo della tutela sanitaria
degli atleti soprattutto alla luce dei recenti drammatici avvenimenti,
in primis la morte del giovane hockeista Stefano Dal Lago, stroncato durante
una partita di campionato, caso che ha sollevato un’autentica burrasca
in ambito federale, e più inparticolare quello ugualmente tragico
di Patrizia Barbuto.
E più
che giusto che si punti l’indice accusatore verso quei responsabili che
con una leggerezza incredibile si sono defilati dagli obbligatori accertamenti
medici, è altrettanto giusto che si sollevino perplessità
sulla condotta spesso irresponsabile di taluni presidenti che violano le
più elementari principi di assicurazione sanitaria.
È anche vero, purtroppo, che di questo mal vezzo non sono esenti
neppure dirigenti di squadre di calcio femminile.
Ebbene, vi assicuro che come responsabile del Dormelletto assisto ad
una situazione diametralmente opposta.
L’arrivo della nuova stagione sportiva si trasforma ben presto in una
sorta di incubo nel momento stesso in cui all’orizzonte si profilano inevitabili
le visite mediche della squadra.
La fatidica giornata è puntualmente accolta con sbuffi malcelati,
sospiri di rassegnazione, noia scostante, situazioni-tipo che raggiungono
l’apice della tragicommedia nel momento della (quasi sempre mancata) consegna
di certi «reperti fisiologici».
Se da un lato è comprensibile che la giovane età delle
giocatrici porti a non comprendere la reale importanza di questa «assicurazione
sulla vita» , ciò che mi lascia veramente perplessa è
l’atteggiamento di alcuni genitori che talvolta negano il benestare alla
visita stessa, equivocando chissà cosa, senza riuscire a comprendere
che l’idoneità fisica nella pratica sportiva diventa un passo fondamentale
per la salvaguardia della salute della calciatrice in quanto donna ancor
prima di atleta.
È la mia una piccolissima testimonianza che vuole mettere in
evidenza un aspetto nascosto della nostra (mal seguita) tutela sanitaria
e, perché no, per togliere dal «mucchio» quanti operano
con passione e serietà nel mondo pedatorio femminile.
Cordialmente,
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